TRATTAMENTO
Il trattamento dell’AVB nel periodo neonatale consiste nella portoenterostomia, descritta dal giapponese Morio Kasai alla fine degli anni ’50. Tale intervento si basa sul concetto di asportare le vie biliari atresiche e di attaccare (anastomizzare) un tratto di intestino (un’ansa digiunale) defunzionalizzato, all’ilo epatico, la dove sono presenti dei piccoli dotti biliari (duttuli) neoformati. Le dimensioni di questi piccoli dotti sono fondamentali per il drenaggio biliare.
Nei casi in cui non si ottenga un buon flusso biliare dopo intervento di Kasai, o in caso di sviluppo di complicanze legate alla cirrosi biliare l’unico trattamento possibile resta il trapianto epatico.
L’intervento è eseguito attraverso una laparotomia sottocostale: la diagnosi viene confermata dall’ispezione del fegato e delle vie biliari. In caso di colecisti pervia o di cisti all’ilo epatico il contenuto va aspirato per valutarne il colore e viene eseguita una colangiografia.
Una volta confermata la diagnosi, il fegato viene secondo alcuni Autori, esteriorizzato (manovra permessa dalla sezione dei legamenti che ancorano il fegato alle pareti addominali), mentre secondo altri è preferibile mantenere il fegato intracorporeo.
L’intervento prosegue con l’isolamento delle vie biliari partendo dalla colecisti atresica e dal coledoco; da ultimo si procede alla dissezione della fibrosità all’ilo epatico, che deve essere meticolosamente liberata dai rami destro e sinistro dell’arteria epatica e della vena porta.
Completato l’isolamento si procede all’asportazione delle vie biliari atresiche. Questa manovra è molto delicata e la sua precisione ha un ruolo importante. Infatti durante la transezione occorre rimanere rasenti al parenchima epatico, senza penetrarvi, altrimenti ne conseguirebbe un processo di cicatrizzazione con chiusura dei microduttuli neoformati. D’altra parte una transezione troppo superficiale è destinata all’insuccesso per l’assenza a questo livello di comunicazioni, seppure microscopiche, con l’albero biliare intraepatico.
Viene quindi preparata un’ansa digiunale defunzionalizzata a Y secondo Roux, della lunghezza di 40 cm, portata all’ilo epatico passando attraverso al mesocolon; si procede poi all’anastomosi tra il margine di sezione della placca fibrosa ilare ed il versante antimesenterico dell’ansa digiunale trasposta.
Nel 2002 venne descritta la prima portoenterostomia laparoscopica; in seguito molti Centri iniziarono ad adottare la Kasai laparoscopica, con l’obiettivo di lasciare una cavità addominale libera da aderenze in vista di un successivo trapianto. Tuttavia, verosimilmente per la difficoltà ad eseguire una adeguata dissezione, i risultati della tecnica laparoscopica si sono dimostrati inferiori alla tecnica classica e la maggior parte dei Centri è ritornata all’intervento classico laparotomico.
TERAPIA POSTOPERATORIA
Nel postoperatorio i pazienti devono seguire una terapia farmacologica a base di antibiotici e protettori gastrici. Inoltre per i primi giorni devono rimanere a digiuno e pertanto verranno nutriti per via parenterale fornendo loro tutti i nutrienti (lipidi, zuccheri, proteine, vitamine, sali minerali). Questi pazienti inoltre necessitano di un maggiore apporto calorico e di supplementazione particolare di vitamine liposolubili.
L’allattamento materno, se possibile, è preferibile, ma con un apporto che provveda al 110-160% del fabbisogno stimato per il peso del bambino. In mancanza di latte materno è preferibile l’utilizzo di formule ipercaloriche arricchite di acidi grassi a catena media, al fine di favorire l’assorbimento dei lipidi. Le vitamine liposolubili devono essere supplementate per via orale ad alte dosi o meglio per via parenterale, fino alla normalizzazione dei valori di bilirubina.
Molti Autori somministrano nel periodo postoperatorio farmaci corticosteroidei con l’obiettivo di ridurre i processi infiammatori e la fibrosi a livello dell’ilo epatico. Inoltre gli steroidi sono in grado di incrementare l’escrezione biliare non dipendente dai sali biliari. Il ruolo di questi farmaci resta tuttavia incerto.
La somministrazione di acido ursodesossicolico si è dimostrata efficace nel migliorare il flusso biliare e quindi ridurre la colestasi, e anche nel mantenere nella norma i valori degli enzimi di citolisi epatica (le transaminasi). Oltre all’aumento del flusso biliare l’acido ursodesossicolico presenterebbe un effetto positivo immunomodulatore.
Ampiamente diffuso è l’utilizzo di antibiotici somministrati per tutto il primo anno, al fine di ridurre l’incidenza di colangiti.