Mi chiamo Barbara, ho 38 anni, sono un’atresina operata a 73 giorni di vita. Sono del Sud e precisamente di Taranto. Alla nascita, ero itterica e, per questo motivo, venni ricoverata al Policlinico di Bari. Dopo analisi approfondite, i medici spiegarono ai miei genitori la gravità della situazione e della necessità, per potermi curare, di portarmi al Nord, al Gaslini di Genova o all’Ospedalino dei Bambini di Brescia. Parlarono molto bene del Professor Caccia.
All’epoca i miei genitori avevano poco più di vent’anni, io ero la terza figlia e la mia malattia creò non pochi problemi. I miei nonni erano di un’altra epoca, non riuscivano a capire la gravità della situazione e la patologia e di conseguenza anche la decisione dei miei di portarmi al nord per farmi curare. Ai loro tempi era abbastanza frequente che ci fossero bimbi che morivano senza che se ne capisse la causa. I miei genitori, nonostante le incomprensioni con i miei nonni, non ci pensarono due volte, non si persero d’animo e con grande forza e coraggio affrontarono il viaggio con tutte le incognite che riservava. Ebbero la prontezza di agire in modo tempestivo e le loro scelte di allora mi salvarono la vita.
Così dal Policlinico, prima mi portarono al Gaslini di Genova. Dopo aver studiato il caso i medici dissero che la mia non era una patologia che loro seguivano e ci inviarono immediatamente dal Professor Caccia. Nonostante fossi molto piccola il Professore decise di effettuare su di me l’intervento di Kasai II.
Questa operazione, pur non essendo la prima che il Prof. Caccia avrebbe eseguito, presentava molte incognite e il Professore non nascose che non sapeva come sarebbe andata, perché l’Atresia delle Vie Biliari si manifesta in ogni bimbo in modo diverso, ogni caso è a sé e ogni bimbo reagisce in modo diverso.
Negli anni seguenti, pur essendo sempre sotto controllo, ho avuto delle complicazioni. Avevo una stomia sullo stomaco che spurgava bile. A sette anni questa valvola di scarico mi venne rimossa a Brescia. Da quel momento ogni quindici giorni da Taranto ci recammo a Brescia per i controlli. Questo è stato un grande impegno per i miei genitori che hanno sempre combattuto per tanti anni e fatto di tutto per me. Mio padre pur di farmi curare nel miglior centro in Italia, anche se molto distante da casa, prese la buona uscita e perse il posto di lavoro. Addirittura, per capire meglio la mia patologia e per potermi curare meglio, andò persino a Bruxelles con il Professor Caccia.
Sono stata davvero fortunata ad avere due genitori così… Avrebbero potuto rassegnarsi e farmi curare in un ospedale vicino a casa accettando un tragico epilogo… Invece hanno sempre affrontato tanti disagi e sacrifici, non è da tutti.
Da piccolina quando andavo in piscina o a danza ai miei amici o ai compagni di scuola, che mi chiedevano come mai avessi una cicatrice, dicevo che avevo avuto un incidente stradale. Poi durante il periodo della pubertà invece i miei genitori cominciarono a spiegarmi meglio della mia patologia e divenni più consapevole. Con i primi fidanzatini mi trovai a dover giustificare il fatto di non poter bere o il non poter mangiare la frittura o altri cibi, il non poter fumare, ne fare cose eccessive. Arrivai poi a dire la verità.
I miei genitori non sono mai stati oppressivi, non mi sono mai stati troppo attaccati, mi hanno sempre dato una grande libertà facendomi diventare responsabile e consapevole di quello che avevo. Grazie a questo senso di responsabilità sono arrivata fino ad adesso in buone condizioni di salute.
Mia mamma è sempre stata attenta a darmi un’alimentazione correttissima. Non mi ha mai dato frutti di mare, quasi mai frittura. Cucina semplice, cose fatte in casa utilizzando prodotti biologici senza trattamenti chimici.
Oggi posso affermare che la mia condizione di salute attuale è dovuta ai trent’anni che i miei genitori mi hanno dedicato. Grazie ai loro insegnamenti, al loro esempio, all’educazione, all’attenzione ad un’alimentazione sana, sono diventata una ragazza consapevole e responsabile: non bevo, non fumo e non mangio cibi che potrebbero nuocere al mio fegato.
Mi tengo sempre sotto controllo e ogni anno vengo puntualmente a Brescia, vedo i miei dottori di routine che sostanzialmente sono quelli che mi conoscono da sempre e che facevano parte dell’equipe di Caccia.
In tutti questi anni la Chirurgia pediatrica di Brescia è stato sempre il mio punto di riferimento con il Prof. Caccia, il Prof. Ekema e il Prof. Alberti, ai medici della sua equipe mi sono sempre rivolta per ogni problema; quando ho qualche cosa che non va io mi precipito qui proprio perché qui operano e trattano questa patologia da prima che io nascessi.
A Taranto la realtà sanitaria invece è molto diversa. Bambini con la mia stessa patologia ce ne sono pochi e vengono subito inviati al Nord. L’atresia delle vie biliari resta una malattia poco conosciuta, il mio caso è pressoché unico e i medici non sono in grado di seguirmi.
Al Sud è un problema anche far valere i propri diritti. Nonostante io abbia una patologia rara non mi è stato mai riconosciuto nulla. So che l’atresia delle vie biliari dà un’invalidità con una percentuale riconosciuta del 51% e questo dà diritto all’iscrizione alle liste di collocamento mirato, ma, nonostante le lotte dei miei genitori e le mie, a tutt’oggi i miei diritti di malato raro non sono ancora stati riconosciuti.
Ora, nonostante tutto, ho un lavoro, sono indipendente mi sento gratificata e sono soddisfatta della mia vita. Non mi sento per nulla inferiore agli altri e sto bene, sto bene di salute.
A distanza di 38 anni anche se il Professore purtroppo non c’è più resta il frutto della sua opera… E’ un grande frutto quello che ha lasciato perché salva tanti bambini. Alcuni, è vero, devono affrontare il trapianto, ma a tutti ha prolungato l’esistenza, dando una prospettiva di vita a bimbi che prima non ne avevano.
Io sono viva senza trapianto, grazie a lui, e mi sento una miracolata.
Il mio più grande rammarico è che a seguito dell’intervento di Kasai ci sono state, a distanza di tempo, complicanze per cui, nel mio caso, un’eventuale gravidanza potrebbe portarmi a uno scompenso epatico e il rischio della necessità di un trapianto epatico sarebbe molto elevato.
Il desiderio di diventare mamma è grande, ma sono consapevole dei rischi che comporterebbe una gravidanza e preferisco evitare di rompere questo equilibrio.
Il consiglio che mi sento di dare ai genitori è di stare sempre dietro ai propri figli educandoli, nel corso degli anni, ad essere responsabili e consapevoli. I bimbi hanno bisogno di fare una vita sana, regolare e tranquilla.
Molto importante è non farli sentire diversi rispetto agli altri bimbi, perché non hanno niente di diverso.
Altro consiglio è, per ogni problema di salute che riguardi direttamente o indirettamente il fegato, di fare sempre riferimento ai medici che li hanno in cura. Non in tutti i centri ospedalieri sono in grado di seguire questa patologia rara. Bisogna mettersi nelle mani di medici competenti.
27 aprile 2018